Accattino, CEO di Ares: la nostra idea di cultura accessibile a tutti. Con Rivetti Pubblicità le nostre mostre sono ovunque
15 luglio 2023
Al centro del concept di Ares c’è la volontà di mettere in relazione l’artista con il visitatore della mostra, di rendere i contenuti culturali accessibili a tutti e di mantenere una qualità espositiva molto alta. Nella consapevolezza dell’importanza delle fasce giovani e della forza dei nuovi media digitali. A raccontarlo è Edoardo Accattino, CEO di Ares, società piemontese di gestione e organizzazione di mostre ed eventi culturali, e cliente da 4 anni di Rivetti Pubblicità, che supporta la comunicazione delle sue mostre con Out of home, programmatic adv e social media advertising.
Accattino, qual è la vostra proposta di valore nella promozione della vostra offerta culturale?
“Ares è una società che si occupa di servizi di gestione museale, che vanno dall’accoglienza, alla guardiania, al bookshop per società produttrici di mostre. Da tre anni siamo anche produttori diretti di mostre, che realizziamo in collaborazione con il curatore. Operiamo a Torino e Modena come produttori, mentre come gestori di spazi anche su Genova, Milano, Roma, Bologna e Trieste. Da impresa commerciale, quando iniziamo a lavorare su un progetto consideriamo ciò che può creare un impatto sul pubblico. Puntiamo molto sulla relazione tra artista e visitatore, dove l’artista può essere un nome molto noto, come nel caso delle mostre di Vivian Maier e Robert Capa, o un nome meno noto. Nel primo caso, raccontiamo uno specifico aspetto che il pubblico non conosce. Nel secondo caso, creiamo una mostra più completa e antologica possibile, in modo da lasciare il visitatore soddisfatto di aver scoperto un nuovo artista e di fidelizzarlo per le mostre successive. Inoltre, rendiamo le esposizioni accessibili anche a livello visivo, con font molto ben leggibili e rivolgendoci ad un pubblico generico, non limitato ai soli esperti”.
Quali mezzi di comunicazione ritenete più adeguati a raggiungere il vostro target? Per quali motivi?
“Il target generico funziona bene su carta stampata, quindi con articoli di giornale. Oltre a questo, serve molto la pubblicità su comunicazione esterna, sia su impianti fissi che sui mezzi di trasporto. Agiamo poi su piattaforme Social e tramite geofencing. I mezzi selezionati si rivolgono tutti ad un pubblico diverso e unendo i vari mezzi di comunicazione, uno richiama l’altro. Ci siamo accorti che se utilizzassimo solo un metodo di comunicazione, i visitatori non arriverebbero. Hanno bisogno di un richiamo continuo. Almeno a Torino, se una mostra viene promossa poco, la gente pensa che valga poco, pensa che non sia interessante”.
L’offerta crossmediale della nostra agenzia include campagne pubblicitarie in out of home, cinema e media digitali. Tra questi, quale dei tre mezzi ritiene più stimolante?
“Per il lavoro di mostra che facciamo noi, sicuramente l’Out of Home è per noi la più interessante, soprattutto per il fatto che si tratta di campagne temporanee e esiste una certa abitudine nelle persone a trovare la pubblicità di una mostra su questi mezzi. Anche le campagne digitali funzionano. Abbiamo investito in post sponsorizzati sui social, che sono andati bene, ed è stato molto interessante anche il programmatic adv in geofencing, che ci ha permesso di intercettare in una città come Modena anche coloro che risiedevano fuori dal centro. È stata una scelta vincente. Per quanto riguarda il mio settore, sono più scettico sul Cinema, perché non penso abbia il target adeguato alle nostre mostre”.
Ci parlerebbe di una delle ultime campagne che avete lanciato grazie a Rivetti Pubblicità?
“Attualmente per la mostra di Ruth Orkin abbiamo investito l’80% del budget sull’Out of Home in metropolitana e dinamica. Il resto del budget è stato destinato a Programmatic adv e Social Network. Quello che abbiamo fatto, e che cerchiamo di fare sempre, è di impostare una calendarizzazione di uscita per la quale una richiama l’altra. Spesso, infatti, i visitatori ci dicono che la nostra comunicazione la vedono ovunque, anche in base alla posizione degli impianti. Del resto, sono 4 anni che collaboriamo con voi e, se non ci credessimo, non avremmo più investito”.
Il settore della cultura potrebbe sembrare legato più al passato che al progresso tecnologico. È davvero così?
“I giovani sono sempre stati una categoria difficile, ma di recente ci siamo accorti che quella tra i 25 e i 40 anni, anche per via di un cambio nella società, è diventata la più interessante su cui lavorare. Rispetto al passato, questa categoria è disposta a spendere di più e a spendere nel proprio tempo libero. Per questo utilizziamo i social, con argomenti pubblicitari tali da richiamare quel pubblico lì. Ultimamente, si parla anche di spazi “instagrammabili” da inserire all’interno delle mostre, cosa non sempre facile, perché curatori e collezionisti sono rigidi rispetto all’esposizione delle proprie opere”.
Se avesse a disposizione budget illimitato per promuovere Ares e le mostre che organizza, cosa sceglierebbe di fare?
“Avere influencer che vengano in mostra. Non è una cosa che amo dal punto di vista culturale, ma ad oggi è un aspetto che porta molti visitatori”.